da Nino Martoglio
rielaborazione e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Antonio Alveario, Maurizio Puglisi, Margherita Smedile, Marika Pugliatti, Antonio Lo Presti
scene Mariella Bellantone
luci Maurizio Viani
aiuto regia Mimmo Cacciola
direttore di palcoscenico Giuditta Caratozzolo
assistente alla regia Valentina La Motta
aiuto scenografo Isabella Princivalli Conti
organizzazione Maurizio Puglisi
foto di scena Giuseppe Giannino
realizzazione scene Soqquadro
costumi Teatro di Messina
Musiche: Tom Waits, Moni Ovadia, Anouar Brahem, Pietro Mascagni, Yma Sumac, Lydia Johnson
produzione (1997)
in collaborazione con Diablogues


Note di regia

Ma è possibile che Giufà, maschera popolare che si ritrova, con nome quasi identico, nella cultura di tutti i paesi del Mediterraneo, protagonista di storie dolceamare intrise di saggezza e ingenuità, è possibile che questo sciocco-furbo, messo casualmente a contatto con il mondo del cinema all’alba del nostro secolo, diventi improvvisamente un divo ammirato, acclamato e conteso dalle case di produzione di tutto il mondo?
Martoglio, autore e regista di raffinato umorismo, nella sua attrazione-repulsione nei confronti del cinematografo, decide di si, che anzi è proprio Giufà il tipo che ci vuole per mettere in buca produttori senza ideali, registi improvvisati e divi senza talento. E Giufà, con la sua autentica, involontaria comicità, il Buster Keaton, lo Charlot, l’attore surreale e poetico che manca al cinema italiano del suo tempo.
Abbiamo preso la storia dell’Arte di Giufà e l’abbiamo interpretata, lasciandola intatta, come un sogno del protagonista. Il sogno del cinematografo, fatto con l’amore è l’ingenuità di chi assiste all’esplodere di questa nuova arte come spettatore, e immagina, oltre il visibile, un vortice di passioni, guadagni, carnalità e seduzioni, da far girare la testa al più mite degli individui. Giufà gioca con questi elementi, e nel suo sogno li contrappone al suo quotidiano: una vita modesta, tra una suocera-tiranno, una moglie apprensiva e un cognato presuntuoso e ignorante, attorniati da altre figure attinte dalla tavolozza di personaggi-tipo cari a Martoglio e ricorrenti nei suoi testi.
Come accade nei sogni, le fisionomie si confondono, si deformano e trasmigrano da un personaggio all’altro, assumendo caratteri opposti e complementari tra loro. Fino a quando il cerchio si chiude, gli uni incontrano gli altri, e trovano un equilibrio che GIUFÀ rifiuta.
Caro lei, ora mi scannaliastuu ‘a testa e canusciu ‘a chiazza e’ morti!…”
Questa battuta, che apre il monologo finale di Giufà, è stata, fin dalla prima lettura, il momento più emozionante, più illuminante dello spettacolo. Dopo le scene di comicità e di autentico divertimento che compongono questa “bizzarria comica” il soffio poetico di Martoglio diventa predominante, e crea un momento di grande commozione.
La frase, per chi non ne conosce il significato, è spiegata in una nota della nuova edizione del Teatro di Martoglio curata da Sarah Zappulla Muscarà: “… Mi scannaliastu a testa significa mi avete smaliziato, e “canusciu ‘a chiazza e’ morti!…” vuol dire che ho visto la Piazza dei morti, dove si vendono, in Sicilia, i giocattoli che il 2 novembre si fa credere ai bambini vengano regalati dai loro defunti.”
Con questa frase, Giufà abbandona l’illusoria identità tra fantasia e realtà. Spezza il filo che lo legava all’ingenuità infantile e diventa adulto. Ancora ingenuo forse, ma consapevole e padrone di se stesso. Può svegliarsi, adesso.
Enzo Vetrano e Stefano Randisi


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