di Anne-Riitta Ciccone
regia Lorenzo d’Amico De Carvalho
con Maria Vittoria Casarotti Todeschini, Gianvincenzo Pugliese, Gabriele Stella
costumi Andrea Sorrentino
musiche Dj Qzu

Note

Tre personaggi che fanno irruzione nelle nostre vite, costringendoci ad ascoltare. Tre monologhi che gettano una luce nuova e impietosa sugli ultimi, coloro che vengono da “fuori” dei confini della nostra società, quei confini sempre più chiusi agli esseri umani ma nel contempo pronti ad accogliere chi per necessità o costrizione è disposto a perdere ogni umanità e farsi oggetto. Un migrante, salvatosi a stento da quel mare che somiglia sempre più ad una tomba. Una prostituta, strappata ad una vita semplice e serena, e resa schiava con la promessa di aiutare la propria famiglia. Un androide, pronto a tutto per dimostrare di essere solo un oggetto al servizio di ogni nostra esigenza.
Tutti nascondono un segreto, a volte terribile, a volte folle, a volte sublime. Tutti sono qui per raccontarci di loro, ma soprattutto di noi. “La pacchia è finita!” gridano oggi alcuni nel nostro Paese parlando dei più poveri ed emarginati degli uomini, parole che suonano grottesche soprattutto in un Paese che si è costruito ed è evoluto grazie al fatto stesso di essere in mezzo al Mediterraneo, crocevia di culture, passaggio di uomini che hanno portato in regalo tradizioni, lingue, arte, religioni.
Chi narra e vuole consegnare al presente e al futuro un racconto dell’attualità non può rimanere muto, è costretto dalla sua stessa missione ad osservare e denunciare. Da questa esigenza nascono tre personaggi che sono la metafora assoluta del percorso per cui un Paese come quello sopra descritto si sta macchiando del peggiore delitto morale: rendere oggetto le persone.


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Galleria

Rassegna Stampa

Caterina Matera, La Platea

[…] La pacchia è finita esaspera i toni fino a rendere grotteschi i suoi protagonisti, accentuando per di più le inflessioni linguistiche; vuole rivelare la distorsione tutta italiana che muta le vittime in colpevoli; capovolgere gli stereotipi e sottolineare quanto i giudicanti dovrebbero auto-giudicarsi; non insegue sentimentalismo. Eppure, quella discordanza che desidera firmare non attecchisce in profondità. Il testo è sovrabbondante ed esaustivo, sovrasta lasciando poco margine di partecipazione allo spettatore. Un’operazione di snellimento del testo e un più accurato uso delle luci renderebbero La pacchia è finita uno spettacolo ancor più unico e necessario.

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Il Terzo News

[…] L’interpretazione dei tre protagonisti è forte ed intensa, possibile solo con la passione esplosiva della giovane età. Gli attori si donano sul palco senza tenersi niente per sé, sono nel pubblico e colpiscono con le battute cercando di risvegliare le anime dormienti di molti di noi. Catturano la nostra attenzione sbattendo talvolta i piedi o le mani e attirano l’attenzione per assicurarsi che non ci perdiamo neanche una piccola sfumatura della loro interpretazione. Viene voglia di vedere ancora lo spettacolo e di vederli ancora, sono pochi tre giorni di rappresentazione per dei monologhi che stimolano così la mente e ci mostrano a quale punto è dovuto arrivare l’uomo per poter lavorare: diventare un oggetto.

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Fabiana Raponi, Teatri Online

[…] Lo spettacolo è coraggioso e la scrittura indaga senza sconti o pregiudizi su argomenti fin troppo tratti che acquistano nuova luce senza sconti senza retorica trasformandosi in una sorta di Vangelo degli ultimi scuotendo le coscienze anche buoniste e costringendole a riflettere sulla realtà che che riempie i telegiornali, ma in modo diverso, costringendoci a farei conti con la nostra coscienza nella consapevolezza che la società e gli uomini ormai si sono resi colpevoli del peggiore delitto morale: rendere oggetto le persone. Il monito è quello di non lasciare che accada senza fare nulla appellandosi alla nostra coscienza.

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Giuseppe Tumminello, Scénario

[…] La pacchia è finita prende forma da una scelta di monologhi sul tema dell’emarginato, dello straniero, degli ultimi, della diversità e del pregiudizio. Il titolo si commenta da sé: slogan molto evocativo, già entrato nell’immaginario collettivo… Il sottotitolo Moriamo in pace, che richiama l’assonanza con la messa, è un riferimento alla religiosità laica.  In questa denuncia sociale della Ciccone, non c’è solo una mostra, ormai iconica, di disperati alla ricerca di aiuti umanitari; i muri sono già rotti, non ci sono più barriere, ma solo ‘preghiere’ di rabbia contro tutti e soprattutto contro ogni Dio. La regia non invasiva di Lorenzo d’Amico de Carvalho dà spazio alla scena quasi nuda, minimale: un cubo; un telo bianco sul fondale; un altro telo bianco arrotolato al centro del palcoscenico. Tre monologhi. Tre attori. Tre personaggi: un migrante scafista; una migrante prostituta; un migrante replicante. Tutti venuti da lontano, per costringerci ad ascoltarli […]

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Roberto Staglianò, Theatron

[…] La pacchia è finita – Moriamo in pace è un titolo che immagazzina la luce, la materia, l’energia dell’essere umano, come in un buco nero. Come una metafora, il collasso di una stella. Corrisponde alla fine di uno stato di grazia, di una condizione dell’umanità. L’epilogo, il breaking point, la distruzione e la morte. In quella spirale ci si finisce dentro, senza rendersene conto. Forse è per questa ragione che il regista Lorenzo d’Amico de Carvalho ha deciso di lasciare un’illuminazione soffusa in sala per tutto il tempo dello spettacolo. Corrobora quella relazione che si manifesta attraverso la ricerca di un contatto visivo e di una reciprocità tra palcoscenico e sala, tra spettatori e attori […]

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